La famiglia di giocattolai che ha fatto felici generazioni di bambini lastrigiani

Il ricordo della storica bottega è stato pubblicato sul numero di BISENZIOSETTE del 2 marzo 2018.

La famiglia di giocattolai che ha fatto felici generazioni di bambini lastrigiani
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Ha fatto felici generazioni e generazioni di bambini lastrigiani. Bambini che ora sono a loro volta babbi, mamme, nonni. Ma che ancora oggi, quando passano davanti a quel fondo in via XXIV maggio non possono non sorridere e non ricordare quei giorni felici d’infanzia quando quello era il regno dei balocchi. È la bottega della famiglia Scarselli: Giovannino, Enzo, Fiorellla, Elena e Giulia. 

"La bottega la prendemmo alla fine del ’65 – ha esordito Enzo, oggi 80enne – Nel ’66 venne subito l’alluvione e si prese anche quella. Si buttò via tutti i giocattoli. Per fortuna non erano tanti…"

Ma la storia è cominciata ben prima:

Precedentemente andavamo qua e là per le fiere; avevamo il banco, sotto la porta principale di Lastra a Signa, per la Fiera di mezz’agosto, il 15 d’agosto – ha raccontato il giocattolaio – Prima davanti alla porta, sotto il sole. Poi ci fecero mettere dove c’era il bar del Pucci, sotto il tendone, tra i tavolini e lì si stava un po’ più riparati. Tutto iniziò con mio padre Giovannino, subito dopo la Guerra, che andava con il carretto a tutte le fiere dei dintorni: Empoli, Prato, Firenze… C’era anche chi faceva i mercati, ma lui si trovava bene solo alle fiere. Tuttavia per integrare aveva fatto, per alcuni periodi anche altri lavori, per esempio fece l’operaio per la costruzione del campo sportivo di Signa. Inoltre come tutta la gente di zona qui, a quei tempi, aveva lavorato alla Nobel".

Il divertimento e il sorriso dei bambini di allora, però, implicava, quasi per paradosso, fatica, polvere, sudore e sacrificio da parte della famiglia di ambulanti:

"A quei tempi mica c’era la macchina. Andavamo con il carretto a mano, non c’era neanche il ciuco. Mi ricordo ancora a fare la salita del masso della Gonfolina, io a spingere da dietro e lui a tirare, quanto era dura. Stavamo a Calcinaia. Si partiva di notte, tutto a piedi, per arrivare a fare la fiera il giorno e rimanevamo lì fino all’indomani. Sono passati settant’anni adesso, ma ancora ho viva la memoria di quando, avrò avuto dieci anni, dormendo la notte sdraiato sotto al carretto, per terra, mi passavano i topi addosso".

Poi sono arrivati gli anni del primo benessere e dal carretto a mano si è passati al primo mezzo motorizzato, quel furgoncino celeste che molti lastrigiani ancora ricordano con affetto:

"Con quello si poteva andare più lontano.. Si arrivò a vendere i nostri giocattoli fino a San Sepolcro. Una volta dovevamo andare in Casentino. Ma arrivati alla Verna il furgone non tirava in salita e nonostante fossimo quasi arrivati, ci toccò a tornare indietro".

Poi c’era la Festa del grillo:

"Si facevano le gabbie dei grilli. Si arrivava in macchina fino alle croci di Calenzano, poi da lì si camminava fino in vetta alla Calvana  - dove appunto c’è il monte Cantagrilli - Si cercavano le buchine nei prati, li stanavamo con lo stecchino. Si prendeva solo i maschi, perché sono quelli che cantano… poi da ultimo c’erano solo femmine e si prendevano anche quelle. Alla fiera ci chiedevano “Che cantano?” e noi, per venderle: “Hai voglia se cantano, sentissi come sono brave!”".

Enzo Scarselli tra le figlie Elena e Giulia

Ma i tempi cambiano:

"Da ultimo facevo anche il Babbo Natale. Le mamme mi portavano le letterine e io gli portavo i regali a casa per la Vigilia".

Tuttavia Enzo non ha fatto sempre il giocattolaio:

"Il maestro disse a mio babbo: “Se non lo fai più studiare lo passo all’esame di quinta elementare, se no te lo boccio”. Così andai a fare il pasticcere in via Diaz, dal “Secchini”, che in realtà si chiamava Andrei, ma lo soprannominavano così perché era magro. A me invece mi chiamavano “Filucchio” perché ero parecchio secco anch’io… ci stetti una decina d’anni, poi si aprì la bottega".

La bottega ha chiuso nel 2006 tra i pianti dei bambini lastrigiani d’oggi, nipoti di quelle generazioni che qui invece hanno comprato dai primi giocattoli di latta fino ai contemporanei mangiabatterie tecnologici.

 "Questo mestiere mi è piaciuto tantissimo, ma ora è tutta un’altra cosa… – ha concluso Enzo – I balocchi ora sono diventati tutti elettronici. Ma con i vecchi balocchi meccanici che costruivi da solo imparavi qualcosa, con quelli elettronici che fanno tutto da soli, cosa impari? La cosa più bella comunque è che oggi tutti mi ricordano, ho lasciato una bella impronta alla Lastra. Ancora oggi mi fermano per la strada, i bambini di ieri, uomini di oggi. Loro mi riconoscono. Io invece non li riconosco perché sono cresciuti: tuttavia quando si ricordano di me la sento come una bella manifestazione di affetto".

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