La storia di Renzo: da marinaio combattente a prigioniero in Germania

Il protagonista di questa vicenda vide la sua prima donna soldato all’alba della fine della Seconda Guerra.

La storia di Renzo: da marinaio combattente a prigioniero in Germania
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La vicenda di Renzo Donati è anche la storia di una scelta difficile e coraggiosa quando, dopo l’otto settembre, messo di fronte al bivio di continuare la guerra a fianco della Germania nazista oppure finire deportato in un campo di concentramento, l’allora soldato italiano scelse la via della prigionia.

L’articolo è uscito il 30 agosto sul GIORNALE DI PISTOIA E DELLA VALDINIEVOLE

La storia di Renzo

La storia di Renzo Donati può essere simile a quella di tanti altri giovani soldati che hanno fatto la Seconda Guerra Mondiale, ma di certo è assai singolare e significativa. Inoltre dimostra quanto a volte il coraggio, l’onore ed il senso della giustizia facciano fare delle scelte piuttosto scomode ed assai pericolose. Cosa è successo in quegli anni bui ce lo spiega lo Stesso Renzo che, nonostante l’invidiabile età di 97 anni, è un signore dinamico e di una lucidità straordinaria.
Ci racconta la sua storia?
«Ho voluto fare il militare in Marina, nella quale sono entrato il 10 giugno del 1942. Perché avevo la passione per quel corpo».
Quindi cosa ha fatto?
«Semplice ho chiesto se mi accettavano a Viareggio, dove, dopo le visite mediche di rito, mi hanno inserito negli equipaggi marittimi. La mia prima destinazione è stata La Spezia, dopodiché sono stato trasferito a Varignano, perché mi hanno mandato a fare la scuola di cannoniere puntatore. Da lì mi hanno destinato alle batterie costiere».
Poi cosa è successo?
«In quel periodo l’Italia stava facendo i preparativi per andare a presidiare il porto di Tolone in Francia. Io fui assegnato ad una di queste batterie costiere, per la precisione alla 21-22».
Quanto è rimasto in Francia?
«Fino all’otto settembre 1943. Quel giorno, la mattina alle 3, i tedeschi, che ci avevano tolti dalle batterie e ci avevano portato tutti Tolone, ci hanno messo di fronte ad una scelta: andare via con loro e continuare a combattere insieme alla Germania, oppure essere fatti prigionieri ed inviati in un campo di prigionia tedesco».
E lei cosa ha scelto?
«Ho risposto che preferivo la prigionia, perché quando o deposto le armi ho deciso di non prendere più in mano un’arma da fuoco ed ho mantenuto fede a questo mio intento».
Quindi che le è successo?
«Sono stato deportato in Germania come prigioniero e sono tornato a Pistoia solo nel luglio del 1945».
Ma è stato in un vero campo di concentramento?
«In un primo tempo sì, poi mi hanno mandato a lavorare e sono finito in una segheria. Di lì a poco il mio status, e quello di tanti altri soldati italiani, è mutato da prigionieri ad internati militari. In pratica non eravamo più controllati dai militari tedeschi, ma dai civili. Eravamo lavoratori internati».
E’ stato duro quel periodo?
«Fortunatamente grandi difficoltà non ne abbiamo avute, perché la segheria dove mi facevano lavorare era di una persona molto ricca, che si poteva permettere di dare da mangiare a noi lavoratori italiani».
Ha qualche ricordo particolare?
«Si. Nel 1944 mi sono ammalato e non ho potuto lavorare per quattro o cinque giorni, quindi sono rimasto nella mia baracca. Quando sono guarito e tornato a lavorare, il mio datore di lavoro mi ha fatto un semplice biglietto. L’ho portato alla casa mutua di allora che mi ha dato l’indennità, alla quale avevo diritto. Nel 1944 avevamo un diritto ed un’assistenza, nonostante il nostro status, che in Italia i lavoratori avrebbero visto riconosciuto molto più tardi. Come minimo in Italia viaggiamo con ritardo di cinquant’anni».
Come è tornato dalla Germania?
«Dopo il passaggio del fronte io e altri compagni avevamo deciso di tornarcene a casa, ma senza conoscere le strade o avere punti di riferimento sarebbe stato difficile. Ci siamo riusciti grazie agli americani».

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